di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 08/06/2008
Il ministro del lavoro: ora deregulation, la Cgil rischia
«Una deregulation chirurgica del mercato del lavoro». Alle parole del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, la platea degli industriali scoppia in un lungo applauso. E' «corrispondenza d'amorosi sensi» tra governo e Confindustria. «Il vostro programma è il nostro», era stata la chiosa di Berlusconi alla prima uscita pubblica di Emma Marcegaglia qualche settimana fa. E ieri la presidente degli industriali ha ricambiato, riconoscendo una piena «coincidenza dell'analisi dei problemi e delle soluzioni proposte»: «Ci sono le condizioni per cambiare il paese, ora o mai più». Berlusconi promette meno tasse per famiglie, imprese e lavoro, Sacconi parla di modifiche legislative («perché nessun incentivo finanziario può compensare un disincentivo normativo»). Via lacci e lacciuoli. «E' la fase post ideologica, evidente nella politica ma non ancora nelle relazioni industriali, oggi ispirate a logiche esoteriche», dice. «Esprimo un dissenso radicale con il ministro», sbotta il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Ma Sacconi tenta l'affondo: «La Cgil faccia attenzione, perché rischia di fare la fine della sinistra radicale».
Nessuna semplificazione, ma deregolazione vera e propria, Sacconi lo dice chiaro e tondo. L'elenco è lungo. Sui contratti a termine, il governo vuole tornare alla prima formulazione del protocollo del luglio scorso, perché «si deve poter derogare alla regola del diritto di precedenza, alle causali e al tetto di 36 mesi». Su flessibilità e orari di lavoro a dettare legge devono essere «le esigenze d'impresa», «e anche il part time va ricondotto nell'ambito di un accordo individuale tra le parti». Il lavoro a chiamata verrà ripristinato, mentre per il lavoro accessorio o occasionale (badanti e stagionali) Sacconi pensa ai voucher. E ancora: «Rimetteremo mano al testo unico sulla sicurezza sul lavoro, abrogheremo il modello di dimissioni volontarie varato dal precedente governo e cancelleremo tutti gli obblighi tra appaltante e appaltatore che dovranno essere rimessi alla volontà delle parti». «Come Bonanni - continua Sacconi - penso che sia necessario passare a una fase di collaborazione piena tra capitale e lavoro». La detassazione delle parti variabili del salario, contrattate o meno, va in questa direzione. E' una sperimentazione, che il governo intende portare a regime per tutto il lavoro dipendente. «E' già lì la riforma del modello contrattuale», dice Sacconi, aggiungendo all'elenco gli enti bilaterali («che possono arrivare a svolgere le funzioni della protezione attiva dei lavoratori»), e «perché no, la partecipazione dei lavoratori agli utili d'impresa, punto di arrivo della rivoluzione nelle relazioni industriali».
Emma Marcegaglia applaude ma nelle sue brevi conclusioni mette i paletti proprio su questo punto. Epifani, a margine, insorge. Raffaele Bonanni (Cisl) non entra nel merito e si limita a dirsi contrario «ad atti unilaterali nel mercato del lavoro». Ma non è per caso che Sacconi evoca il Patto per l'Italia del 2002 con Cisl e Uil, per concludere: «La Cgil deve pensarci bene, il suo problema è quello di non isolarsi dalle altre forze sindacali». Secondo l'ex ministro Damiano, quella prospettata da Sacconi è «una vera e propria controriforma». Ma il ministro del Lavoro tira dritto e conclude: «Sulla riforma del lavoro e delle pensioni possiamo pentirci solo di non essere andati più avanti nella scorsa legislatura. Non potremo più dirlo, perché ora siamo intenzionati a farlo».
Con premesse così Silvio Berlusconi, applaudito come non mai, preferisce rinsaldare la sintonia con le imprese. Sa che le aspettative sono altissime e la crisi economica è in arrivo. Così ammette subito: «Ora siamo in luna di miele - dice assicurando un 65% di gradimento - ma se non riusciamo che succede?». Ad angosciarlo soprattutto il super-euro e il petrolio alle stelle. Anche in un quadro simile la ricetta è la stessa di sempre: tagliare le tasse. Con una clausola per lui quasi inedita: si potrà fare solo se le pagano tutti. E se l'Italia non «cresce» il perché è semplice. «La colpa è della sinistra estrema che ha fatto delle proteste di minoranze organizzate un fatto di democrazia - attacca Berlusconi - le decisioni della maggioranza invece devono essere attuate senza che le minoranze possano contrastarle». Un esempio? «Occupare strade e aeroporti è una violenza contro lo stato, e lo stato deve usare la forza per far rispettare la legalità». Per fortuna, conclude, il Pd è ormai libero di approvare quelle che definisce «norme di buon senso».
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