06.06.2008 14:33
di Ivan Tardone, Responsabile Nazionale Agricoltura e Pesca Prc-Se
Decine di migliaia di pescatori di tutta Europa e in particolare dell’area del mediterraneo stanno manifestando contro il caro gasolio. Manifestazioni durissime al punto che resta difficile trovare pesce fresco nostrano non solo nelle pescherie ma anche oramai nei ristoranti. Ma oltre l’aumento vertiginoso del prezzo del gasolio i problemi della pesca italiana vengono da lontano: da tempo la pesca professionale italiana, che ha una flotta tra le più consistenti del mediterraneo con oltre 100.000 addetti (compreso l’indotto), è in crisi nera.
Da più di 20 anni le autorità europee che governano il settore della pesca attraverso il PCP (piano comune della pesca) hanno come modello unico la pesca del mare del Nord, una pesca industriale condotta da grandi aziende, le quali possiedono navi che superano le mille tonnellate e un impressionante consumo di gasolio, e praticano la pesca a maggior impattto ambientale: grandi profondità e grandi distanze dalla costa, con scarsa considerazione sia delle paghe sia della salute dei lavoratori.
Lo stesso commissario dell’UE per la pesca, il Maltese Borg, ha ammesso più volte la scarsa attenzione dell’Unione europea per la realtà mediterranea avuta finora; una scarsa conoscenza che incide negativamente soprattutto per lo sfruttamento degli stok ittici. La grande pesca nel mediterraneo sovente è fuori da ogni controllo minimo, si pesca a profondità sempre maggiori fino a 800 metri, si intaccano riserve idriche ittiche poste al di fuori di adeguate conoscenze scientifiche riducendo drammaticamente e per un numero considerevole di anni il pescato e la biodiversità.
I governi dell’area del mediterraneo, Italia in testa, non sono mai riusciti a dialogare con le istituzioni europee per far valere la specificità artigianale della pesca dove l’84% dei battelli, sempre più associati in cooperative, sono di piccole dimensioni. Il caro-gasolio è un problema che sta sconvolgendo il mondo e con cui bisognerebbe iniziare a ragionare seriamente e non con misure tampone o di rimando, e contemporaneamente bisogna iniziare a proporre un modo diverso di fare pesca.
Alla mancanza di incisività di una adeguata politica della pesca mediterranea si è preferito sempre accettare la sfida della competitività globale alla mercè della grande distribuzione, riducendo i costi, il che si è tradotto in oltre il 50% degli occupati in Italia nel settore della pesca al nero, con paghe “alla parte”, senza garanzie, e con un’incidenza di infortuni mortali sul lavoro che non ha pari in altri settori produttivi.
Il Governo deve da subito ascoltare le categorie in lotta ed evitare di scaricare ancora una volta sui lavoratori del mare il costo della crisi. Nella scorsa legislatura, con una attenzione continua dei sindacati, il Ministro De Castro si era impegnato pubblicamente a creare, anche per la pesca, un sistema di ammortizzatori sociali, ma ad oggi il vuoto rimane. Il Governo attuale deve dare risposte immediate a partire dall’attuazione di un fermo di emergenza indennizzato ad imprese ed equipaggi,
e all’estensione della cassa integrazione in deroga al settore della pesca cosi come prevista in agricoltura.
Roma, 6 Giugno 2008