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Dario Danti
Possono un Centro di permanenza temporanea per migranti e un centro sociale essere due problemi equivalenti per una città? Due problemi da risolvere allo stesso modo? Possono, nello stesso modo, «mettere a rischio progetti strategici per il futuro di Pisa»? Secondo Paolo Fontanelli, deputato pisano e responsabile nazionale Enti locali del Pd, nonché ex-sindaco di Pisa, sì. C'è una sola differenza: il Cpt lo vuole realizzare il governo di centrodestra (e non va bene); il centro sociale lo vuole sgomberare la giunta municipale di centrosinistra (e va bene). Ma facciamo un po' di storia.
È di pochi giorni fa la notizia che il ministero della Difesa, d'accordo con quello dell'Interno, vuole "riconvertire" le caserme dismesse in nuovi centri per la detenzione dei migranti. Così, nella città della Torre, l'area dove è collocata la caserma Bechi Lucerna, sull'Aurelia, e un ex-deposito di carburanti, sito nel quartiere di Barbaricina, potrebbero diventare un Cpt. La precedente amministrazione comunale, quella di Fontanelli per intenderci, aveva già firmato un accordo di programma con Difesa e Demanio per recuperare e riconvertire quella e altre due aree militari in cambio della costruzione di una nuova caserma in località Ospedaletto. Da qui la levata di scudi dei cittadini, di tantissime associazioni e delle forze politiche della sinistra.
Quel Cpt non s'ha da fare: la contrarietà della giunta, guidata dal neo-sindaco Marco Filippeschi, non è nel merito del progetto berlusconiano; semplicemente non si deve intralciare la riconversione della caserma Bechi Lucerna (leggi creazione di strutture ricettive per il turismo). Così come non si deve intralciare la realizzazione del nuovo terminal dei bus in collegamento con la stazione ferroviaria: dunque bisogna sgomberare il centro sociale. Non s'ha da conservare una delle esperienze più innovative e positive della città di Pisa, nonostante Rebeldìa abbia presentato ben sette progetti di integrazione con il terminal dei bus, curati da architetti, ingegneri e professionisti locali.
Ma che cos'è questo Progetto Rebeldìa. Un "posto", un luogo sono sempre tanti luoghi assieme. In via Battisti 51 puoi trovare la scuola d'italiano per migranti, la parete d'arrampicata e la palestra popolare, la mediateca e la caffetteria equo-solidale, sportelli di consulenza sul lavoro e sull'immigrazione. Concerti, teatro, dibattiti, cene sociali e tornei di scacchi piuttosto che di calcetto: i Mondiali Rebeldi con 18 squadre in rappresentanza delle comunità migranti e delle realtà associative pisane. Sì perché a Rebeldìa hanno sede ben 27 associazioni: da Emergency alla Lipu, da Africa Insieme alla Ciclofficina per riparare le biciclette. E poi i Gruppi di acquisto solidale (Gas), che settimanalmente distribuiscono i prodotti contadini, e Ingegneria senza frontiere con progetti di cooperazione a livello internazionale; proprio quelli che hanno istallato in Burkina Faso un ponte satellitare e adesso pensano di mettere pannelli solari termici, così l'acqua sarà riscaldata per buona parte del quartiere. Un cantiere, uno spazio aperto che una politica ottusa e pilatesca vorrebbe sgomberare.
E proprio sabato scorso, forti di mille adesioni individuali e cento collettive, fra sindacati, partiti, soggetti sociali e realtà associative, Pisa ha visto la più grande manifestazione dal trainstopping contro la guerra in Iraq ad oggi: oltre 3mila persone per difendere ed estendere Rebeldìa.
Ieri, sulla scorta del successo del corteo, la riunione del tavolo fra le istituzioni locali e il Progetto Rebeldìa, che ha portato alla riapertura del tavolo tecnico per valutare una soluzione condivisa, compresa quella del mantenimento in via Battisti delle 27 associazioni attraverso l'integrazione con il terminal dei bus. Sembra proprio che il sindaco Filippeschi abbia contraddetto il suo predecessore, che voleva l'immediata liberazione dell'area di 1.500 metriquadri. La lotta non è ancora finita: to be continued.
13/06/2008
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